Il Rugby è anche uno sport

Ci sono vittorie che vanno oltre al traguardo, capaci di lasciare messaggi più profondi del risultato. Sono le vittorie fatte della materia dei sogni. Le vittorie degli outsider che sanno andare oltre al coraggio; che ancor prima della vittoria aspirano alla speranza. Sono i Davide contro i Golia.

La vittoria del Giappone contro il Sud Africa alla Rugby World Cup 2015 è una di queste. La meta a tempo scaduto dei Brave Blossoms (i “fiori coraggiosi”) giapponesi ad opera di Karne Hesketh ci ha regalato una delle più istruttive imprese dello sport degli ultimi anni, non solo per la portata storica del risultato ma soprattutto per come è arrivata. Uno di quei momenti dove lo sport si fa Vita.

E per chi fosse vissuto sulla Luna negli ultimi cento anni, chiariamo subito che il Sud Africa, o se preferite gli Springboks (le “Antilopi”) soprannome coniato nel 1906 alla vigilia di un tour in Inghilterra per evitare che gli venisse affibbiato un nomignolo ridicolo dagli avversari , rappresentano il nostro Golia all’interno di questa vicenda.

La nazionale sudafricana di rugby a 15 ha fatto la storia di questo sport, è attualmente al terzo posto nel ranking mondiale, ha vinto due campionati del mondo ed è (era) una seria candidata alla vittoria finale della Rugby World Cup 2015. Nel 1995, come nazione ospitante, vinse il suo primo campionato del mondo diventando un simbolo della lotta all’apartheid magistralmente ispirata da Nelson Mandela che sfruttò la forza emotiva dello sport per superare barriere di discriminazione razziale ed unire un’intera nazione sotto lo slogan “One team One nation” mostrando alla Storia come lo sport abbia il potere di cambiare il Mondo.

Per esclusione, quindi, i “fiori coraggiosi” giapponesi rappresentano il piccolo Davide davanti ad un’impresa apparentemente impossibile e dall’esito tanto tragico quanto scontato, dove neppure una non convenzionale visione del mondo al contrario avrebbe potuto immaginare un finale diverso. Il Giappone  arrivava a questa partita con una sola vittoria in un campionato mondiale ottenuta nel lontano 1991 ai danni dello Zimbabwe. Prima e dopo il nulla.

Ma i giapponesi, questa volta, erano pronti a mostrare la loro nuova espressione ovale del mondo. E se è vero che ci si innamora al primo sguardo e tutto il resto sono solo giorni da mettere in fila, questo è capitato con i presunti dilettanti giapponesi. Fin dal primo istante ci si è accorti che qualcosa di inaspettato stava succedendo: anche il Giappone, anzi soprattutto il Giappone, sapeva giocare a Rugby. E lo giocava con una tecnica ed intelligenza da farti appassionare al loro destino ogni secondo un pò di più, rivelando tutta l’eleganza del rugby anche agli occhi dei meno esperti. Un’architettura di bellezza allo stato puro.

E si percepiva che non era solamente un evento casuale, favorito da fortuite coincidenze astrali, ma dietro c’è una programmazione tutta nipponica: l’istituzione di un nuovo campionato nazionale sponsorizzato dalle più grandi industrie giapponesi, l’assegnazione dell’organizzazione della prossima Rugby World Cup nel 2019 e la scelta di Eddie Jones come tecnico della squadra nazionale.

Eddie Jones, austra­liano di madre giap­po­nese, nativo della Tasma­nia. Vice cam­pione del mondo nel 2003 gui­dando la pan­china dei Wal­la­bies, cam­pione del mondo nel 2007 da assi­stente tec­nico degli Spring­boks. Ha preso il Giap­pone e lo ha fatto gio­care come mai aveva gio­cato. Ha inse­gnato ai suoi gio­ca­tori che nelle mischie tutto deve essere velo­cis­simo, intro­du­zione e tal­lo­nag­gio per non dare modo all’avversario di imporre la supe­riore potenza. Ha spie­gato come gio­care alla mano anche sotto pressione, come giocare le maul in attacco, quando si è nei 22 metri prendendosi rischi paz­ze­schi impiegando tutti i gio­ca­tori per fare massa per sfi­dare gli Spring­boks e tutti i colossi del Rugby mondiale in mischia chiusa.

Ha insegnato tutto questo e tanto altro, affidando la regia della squadra a Fumiaki Tanaka, un mediano di mischia alto 166 cm per 72 kg, che probabilmente come Woody Allen sarà anche stato scartato dalla squadra studentesca di scacchi per la sua statura, ma che per Eddie Jones aveva il talento e l’intelligenza per interpretare l’alfabeto muto del gioco e guidare la squadra nascondendo la palla alle terze linee avversarie e far valere i suoi proverbiali placcaggi-mosca.

Quando unisci il talento alla programmazione qualcosa di grande ti si presenterà, e sappiamo che i grandi momenti nascono dal saper cogliere grandi opportunità. E questa, ai nostri impavidi samurai giapponesi si presenta nei minuti finali della sfida mondiale contro gli Springboks. Dopo una partita equilibrata e combattuta, il Sudafrica riesce a ripassare in vantaggio 32 a 29 a pochissimi minuti dal termine. E qui entra in scena il terzo elemento indispensabile per scrivere la storia: il coraggio.

A un minuto dalla fine il Giappone ottiene un facile calcio di punizione: poteva usarlo per calciare il pallone tra i pali, fare tre punti e ottenere uno storico pareggio. Ma ha scelto di usare quel calcio per guadagnare una touche e provare ad andare in meta. Ha scelto di rischiare di perdere per provare a vincere.

Il Giappone riesce a far fruttare quella touche e segnare una meta, ma l’arbitro, che nel rugby ha la possibilità di usare la “moviola in campo”, la annulla postuma. A quel punto il tempo regolamentare era finito e al Giappone rimaneva un’ultima possibilità: una mischia ordinata a cinque metri dalla meta. Inutile dirvi come sia andata a finire, se non che Karne Hesketh non ha solo oltrepassato la linea di meta, ma ha attraversato quella linea immaginaria che separa lo Sport dalla Storia.

Davide ha sconfitto Golia come tremila anni fa nella valle di Elah quando il giovane pastore israelita Davide, con una semplice fionda sconfigge il potente guerriero filisteo Golia in uno scontro in cui era partito in apparente svantaggio. Questa, almeno, è la versione che è stata tramandata nel corso dei secoli.

Muovendo dal racconto biblico, da sempre considerato la metafora della vittoria improbabile, Malcolm Gladwell (vi consiglio di cliccare e guardare il video) ci spiega, che non sempre i più forti sono realmente i favoriti, e ci racconta che Golia soffriva di acromegalia, un tumore benigno che fa diventare molto alti ma abbassa la capacità visiva, ragione per cui il gigante non vide bene chi si stava avvicinando ed era preparato solo ad un duello corpo a corpo. Invece Davide, lo sorprese con una strategia inaspettata utilizzando un’arma devastante come la fionda lanciando da lontano il sasso mortale.

Davide era davvero più debole ? Apparentemente sì, ma solo perché il nostro sguardo è attratto dal guerriero con la spada, lo scudo e l’armatura scintillante; in realtà ciò che c’è di bello e prezioso nel mondo proviene dal pastore, che possiede più forza ed intelligenza di quanto immaginiamo. Spesso non leggiamo correttamente questi conflitti, apparentemente impari, e Davide ci insegna che partire svantaggiati può cambiare le persone generando un coraggio, una determinazione e una creatività tali da rendere possibili cose che altrimenti sarebbero apparse inimmaginabili.

Il Giappone era davvero più debole ? Apparentemente sì, ma solo perché il nostro sguardo era attratto dalla storia, la tradizione e la fisicità del Sud Africa; in realtà ciò che c’è di bello e prezioso nello sport proveniva dal Giappone, che non era solo pieno di speranza ma di programmazione, talento e coraggio. E questo nello sport spesso fa la differenza.

Per tutto questo, ma anche solo per l’ipotesi che Dio abbia inventato la birra per impedire agli “avanti” di conquistare il mondo, capiamo perché il rugby è anche uno sport.

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